Vite che non sono la mia

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Titolo: Vite che non sono la mia

Autore: Emmanuel Carrère

Editore: Adelphi

Traduzione: Federica Di Lella e Maria Laura Vanorio

Un libro in cui l’autore parla di avvenimenti che ha vissuto in prima persona e che sono anche le sue più grandi paure, le cose che più lo terrorizzano, ossia la morte di un figlio per i genitori e la morte della madre per i figli ed il marito. Il libro ha inizio nel 2004. Emmanuel Carrère è in vacanza nello Sri Lanka, con la compagna Hélène e i figli, quando l’isola è sconvolta dal terribile tsunami che provocò morte e distruzione in molti paesi asiatici. Emmanuel e la sua famiglia furono fortunati. L’hotel in cui risiedevano non fu colpito dalla onda mortale, anzi loro non la videro proprio. Ma dovettero assistere impotenti al dolore di chi, sopravvissuto, aveva perso familiari, parenti e amici, oltre alla casa, tutti gli averi, il posto di lavoro. La terribile onda non risparmiò nessuno, non fece distinzione tra giovani e vecchi, uomini e donne, bambini e anziani, poveri o ricchi. Portò via tutto quello che trovò sulla sua strada, senza eccezioni. I coniugi Carrère aiutarono una coppia di francesi che avevano perso la loro figlioletta, Juliette. Parteciparono con loro alla ricerca straziante del corpicino, vagando da un ospedale all’altro, tra morte e distruzione. Cercarono, per quanto possibile in momenti così terribili, di dare conforto ai genitori della piccola Juliette, di partecipare al loro dolore, di aiutarli a superare quei momenti così duri. Tornarono a Parigi sconvolti dalle emozioni provate in quella che doveva essere una vacanza e che invece si rivelò una delle esperienze più dolorose della loro vita. Non ebbero il tempo per riprendersi dalla esperienza di morte e di distruzione che avevano appena vissuto che arrivò la notizia che la sorella di Hélène, anche lei di nome Juliette come la povera bambina portata via dallo tsunami, è malata terminale, ormai nessuna cura può essere utile, c’è solo da aspettare l’inevitabile fine. Juliette era un magistrato, una donna coraggiosa che non si era lasciata abbattere da una malattia che le aveva fatto perdere l’uso delle gambe, si era sposata ed era madre di tre bambine. La morte arrivò nel giro di pochi giorni, implacabile, senza dare una minima speranza ai familiari. Subito dopo la sua morte, un magistrato di nome Étienne chiese ai familiari di Juliette di andare a casa sua, voleva conoscerli, voleva parlare di Juliette. Scoprirono un uomo che per una malattia aveva perso una gamba, che aveva vissuto la sua carriera di magistrato a fianco di Juliette, con cui aveva trovato una affinità ed una sintonia del tutto sconosciuta ai familiari.

Étienne racconta delle grandi battaglie che Juliette e lui avevano combattuto a difesa delle persone sovraindebitate e contro i comportamenti delle banche e delle società finanziarie. Insieme erano riusciti a cambiare alcune leggi e molte persone in gravi difficoltà finanziarie trassero grandi benefici dalle battaglie che i due magistrati avevano combattuto.

Carrère racconta le storie delle due Juliette in modo netto, crudo ma anche con sensibilità. Parla di morte, malattia e dolore che colpiscono le persone che ci sono attorno, mentre siamo impegnati a vivere la nostra vita, senza preoccuparci di quello che accade agli altri. Morte e dolore degli altri sono trattati con delicata umanità, senza eccedere nella spettacolarizzazione del dolore, ma con misura, con uno stile senza fronzoli ma capace di emozionare e commuovere il lettore.

La seconda parte del libro, quella che racconta la vicenda umana di Juliette ed Étienne, è dedicata a quella parte di società che soffre per la sua condizione finanziaria, che non ha i mezzi per partecipare alla festa del consumo che ormai caratterizza le vite delle persone agiate. Persone che non hanno alcuna possibilità di salire sull’ascensore sociale, per arrivare qualche piano più su, per riuscire a guadagnare qualche soldo in più. ma non ha neppure la possibilità di tentare la scalata sociale per guadagnare più soldi. L’unico mezzo per tentare di scalare il dislivello è l’indebitamento che viene quasi sollecitato dalle banche, senza alcun limite, fino a quando le persone diventano insolventi e perdono quel poco che hanno. Juliette ed Étienne hanno combattuto questa ingiustizia, tra malattie, cure e dolori. Un libro dalla potenza dirompente, che emoziona e commuove e ci fa riflettere su come spesso spendiamo la nostra vita dando importanza a cose che non ne hanno, trascurando invece le cose veramente importanti. La piccola Juliette è scomparsa troppo presto per poterci insegnare qualcosa ed ha potuto lasciarci come eredità solo il dolore dei suoi genitori. La Juliette maggiore, con la sua storia travagliata e piena di sofferenza, ci insegna come vivere e combattere contro una malattia che non lascia scampo, consapevole della fine che la aspetta, preparando se stessa e la sua famiglia all’inevitabile epilogo.

11 pensieri su “Vite che non sono la mia

  1. Di Emmanuel Carrère posseggo, e ho cominciato a leggere solo “Limonov”, che – apprendo da Wikipedia – è stato il suo libro più venduto. Però ho fattto fatica a leggerlo, e di fatto non l’ho finito. Il libro è la storia romanzata di questo criminale (?) russo, questo è quello che ricordo. Ma una scrittura troppo lenta, e così lenta da risultare noiosa e che alla fine mi ha stancato. Purtroppo, Roberto, neanche la tua recensione di questo suo “Vite che non sono la mia” non mi ha fatto venire voglia di riprenderlo in mano. Come mai? Cosa c’è che non colgo? Tu dirai forse che è una questione di gusto personale. Però sei un lettore notevole, leggi tanto e ti sforzi di dire la tua su quel che leggi, cosa che ammiro moltissimo. Cosa dovrei fare secondo te? riprendere in mano “Limonov”? Leggere “Vite che non sono la mia”? cercare di capire questo scrittore?
    Il mio problema è anche con i francofoni, forse: gli scrittori francofoni, intendo (a parte Simenon!). Quanto mi piacciono gli scrittori anglofoni, britannici, statunitensi, così faccio più fatica con gli scrittori sudamericani (non compatirmi …) e con gli scrittori francofoni…
    Tanto ho amato Dickens quanto Hugo non mi entra nella pelle.
    “La verità sul caso Harry Quebert”, di Joel Dicker (che è comunque uno svizzero) non mi è piaciuto per niente.
    Però le tue recensioni sono un piacere, e un grande stimolo. Bravo.

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    • Grazie per i giudizi sulle mie recensioni e grazie per i commenti sempre molto articolati e completi. Per quanto mi riguarda cerco sempre di finire i libri che inizio, anche se non mi piacciono. I giudizi sui libri sono molto personali e non tutti gli argomenti hanno la stessa presa sulle persone. Anche la stessa persona a seconda dello stato d’animo o del momento che sta vivendo sente in modo diverso le cose che legge. Anche per me leggere i tuoi commenti è un piacere.

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